venerdì 29 aprile 2011

Architettura della comunicazione di Ghisi Grütter


Da molti anni ormai il nuovo protagonista delle città è il messaggio pubblicitario. A partire dalle prime affiches e dai tagebüche il paesaggio urbano è andato ad ospitare sempre di più informazioni e rêclames pubblicitarie. Si può affermare quindi che le strade siano diventate i principali veicoli di comunicazione. Mentre la pubblicità oggi s'infiltra nelle case in modo interstiziale attraverso la radio e la televisione, lo spazio urbano ospita immagini a dimensioni sempre più grandi; in tal modo si ricoprono intere superfici di edifici.
Possiamo considerare il libro di Robert Venturi Learning from Las Vegas del 1972 (la traduzione italiana è solo del 1985), una sorta di profezia urbana. Questa città presenta edifici architettonici illeggibili, indifferenti totalmente al contesto, e il loro unico ruolo è quello di "sostenere" un'insegna luminosa accattivante. L'autore, dall'analisi di questa città, è arrivato a proporre una tipologia d'architettura "neutra" (lo shed decorato) che delega alle scritte, ai cartelloni ed ai colori la propria identità architettonica e funzionale.
Da allora il concetto di edificio-insegna si è molto sviluppato; in particolare per l'architettura commerciale; basti pensare alla serie di progetti del gruppo Site per i magazzini Best.
Nelle maggiori metropoli l'architettura della comunicazione oggi ha il sopravvento su quella spaziale. In molti casi la "pelle" degli edifici nasconde completamente la struttura architettonica. Oltre all'esempio di Las Vegas, molte città come Tokio, Osaka, New York e Shanghai, sono fatte per essere fruite prevalentemente di notte con l'illuminazione artificiale anche se, in alcuni casi, vengono applicate nuove soluzioni tecnologiche che permettono, anche di giorno, proiezioni continue sulle facciate degli edifici.
L'architettura elettrica, che ha origine con le tendenze del neon-sign sviluppatesi durante gli anni '30, tende a modificare radicalmente l'impianto urbano sovrapponendosi ad esso fino a sostituirlo con un'immagine del tutto alterata durante le ore notturne. I pittori iperrealisti statunitensi, nei loro quadri, mettono in evidenza l'ambiguità percettiva della visione architettonica diurna dove la principale decorazione è costituita dall'ombra portata dei tubi al neon.
La complessità della nuova percezione si basa sul rapporto tra progetto architettonico, progetto di comunicazione e risoluzione tecnologica; in tal senso l'impatto visivo si arricchisce ed evolve in termini di quantità e qualità.
Anche gli architetti italiani hanno perfezionato il progetto degli edifici-insegna. Dal progetto di Gregotti per la SMA, dove l'unico ornamento consiste nel traliccio-insegna, si è passati a quello dello studio De Ferrari per il Coin Department Store a Mestre realizzato nel 1996. Il progetto è una ristrutturazione del vecchio gran magazzino a ridosso del centro storico. Alle originarie tessere ceramiche, sono stati sovrapposti moduli preassemblati, estrusi d'alluminio mentre i moduli delle insegne in tubi al neon s'integrano a quelli del rivestimento esterno. L'impiego della tecnologia del vetro strutturale ha permesso di inglobare nel volume originario grandi pareti di vetro. Il logo "le barche" diventa l'unico ornamento di tutto l'edificio.
Una sapiente complessità strutturale ed un efficace sistema di segni e suggestioni sono le linee-guida del progetto di Massimiliano Fuksas per l'Europark Shopping Center a Salisburgo del 1997, dove trovano posto interventi risolutivi d'elementi direttamente linguistici e comunicazionali, come il colore dei tubolari e il grande logo serigrafato. Il tamponamento vetrato delle pareti perimetrali è retto da una struttura d'alluminio appesa alla soletta di cemento armato, con una doppia pannellatura serigrafata sia all'interno sia all'esterno, in modo che il logo dell'Europark si sdoppi nella dinamica della percezione visiva ed assuma una profondità puramente virtuale.
Possiamo considerare Gianni Ranaulo fondatore ed esponente principale della light architecture; le sue raffinate pareti di vetro sono dei veri megaschermi per proiezioni di immagini. Il suo progetto per P.za Garibaldi a Napoli, del 2000, è un prototipo di media building; pure in questo caso l'edificio esistente è rivestito da lastre di vetro posizionate a circa 1 metro dalla facciata dove una cinquantina di retroproiettori trasmette immagini durante la notte, mentre di giorno lo spazio tra le due facciate (vecchia e nuova) funziona da serra.
In Italia, ed in particolare a Roma, bisogna fare i conti con il patrimonio storico artistico: il valore delle facciate degli edifici preesistenti non permette il loro occultamento.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di restauro degli edifici, agevolate anche da una politica di defiscalizzazione degli interventi di rinnovo edilizio. Troviamo una serie di "facciate finte" nel centro storico a "protezione" dell'immagine del cantiere e le tecniche di rappresentazione diventano sempre più sofisticate. Talvolta troviamo la riproduzione della stessa facciata quando si tratta di monumenti storici come nel caso della chiesa di San Girolamo altre volte un gioco "magrittiano" per la piazza di San Pietro in altre occasioni lo sponsor si affida ad illustratori famosi (come per Folon), oppure, in edifici più anonimi, riscontriamo un perfezionamento del livello di realismo della "facciata finta" con effetti d'invecchiamento dell'intonaco, di riflessi del vetro e, talvolta, perfino con la presenza di un omino affacciato in finestra.
In alcuni casi, l'immagine aggiunta all'edificio deve narrare un evento; nell'esempio del cinema romano multisala Adriano, i riferimenti alle proiezioni cinematografiche cambiano continuamente in rapporto ai films in programmazione.
Un esempio d'arricchimento e/o trasformazione della funzione originaria dell'edificio, dovuto prevalentemente alla presenza dell'immagine pubblicitaria, è la Stazione Termini diventata oggi una vera e propria struttura commerciale. La sua galleria sembra progettata per ospitare un progetto comunicativo: una prima fascia orizzontale contiene tutte le informazioni segnaletiche, mentre la seconda è dedicata alle affissioni. Lo spazio interno della galleria si frantuma ospitando una serie di box di vetro dedicati alla vendita. Ristoranti, bar, tavole calde e quant'altro, trovano alloggio all'interno della Stazione dove il viaggiatore è diventato prevalentemente consumatore e compratore. Per contro, alla Stazione Termini oggi si va anche solo per mangiare, o per comprare prodotti particolari (personalmente ho trovato un delizioso negozietto specializzato in acque minerali d'ogni tipo e provenienza) o per fare shopping, tutte attività che possono essere anche dissociate dal viaggio in treno.
Il progetto comunicativo e l'allestimento commerciale sono diventati temi presenti anche come oggetti di tesi di laurea in alcune Facoltà d'Architettura dove si sono anche aperti corsi di laurea tagliati su figure professionali più vicine al comunicatore visivo, al progettista grafico o all'esperto di architettura multimediale. A questi si devono aggiungere i vari corsi post-lauream di specializzazione o masters sempre più orientati verso questo tipo di nuova professionalità. Infatti, a mio avviso, se un architetto si specializzasse nell'applicazione dei nuovi sistemi di rappresentazione e comunicazione visiva o nella progettazione della micro-architettura (cioè l'industrial design, la progettazione dell'effimero, la scenografia, l'allestimento espositivo e così via) troverebbe ancora oggi un mercato aperto.
Pubblicato su AR n° 53/04 di maggio-giugno 2004. 

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